giovedì 23 aprile 2015

Più programmatic per tutti

Comunque la metta, il fatto è che mi sento inadeguata. Ci posso anche scrivere sopra qualche post al vetriolo, così tanto per levarmi un sassolino dalla scarpa, ma dentro mi rimane quella sensazione di non saperne abbastanza, di non essere preparata a dovere, sì insomma, di non essere all'altezza della situazione.
Questa storia che il marketing ormai è solo digital e che se non ne conosci i meccanismi sei fuori gioco mi sta perseguitando e io - che soffro un pò della sindrome da prima della classe - non voglio rimanere indietro, perciò da brava secchiona ho messo in atto un piano d'azione per rimediare a questa lacuna: per prima cosa iscrizione al corso Marketing in a Digital World su Coursera.org (lo stesso dove ho seguito l'SDA Bocconi Managing Fashion & Luxury companies), a costo zero e fruibile a qualsiasi ora (basta rispettare il timeframe del corso), poi partecipazione a qualche seminario su temi particolarmente caldi. 
Ecco, parliamo per esempio di Programmatic Advertising, un argomento che tutti i markettari giureranno di conoscere se viene loro chiesto, mentre smanetteranno contemporaneamente sotto al banco con il loro smartphone, a caccia della definizione Wikipedia da recitare a memoria. Perciò non mi è sembrato vero quando ho scoperto che a Milano si sarebbe tenuto il #ProgrammaticDay, mi ci sono iscritta subito e ieri, alle 8:45, ero là in fila insieme agli altri sfigati che, come me, cercavano inutilmente di arrivare al banco accrediti (non entro nel dettaglio, dico solo che raramente ho visto il desk registrazione in una posizione così assurda - a ridosso delle scale - e receptionist tanto graziose quanto bradipo-style). Comunque, grazie ad una serie di fortuiti accadimenti che di solito non mi capitano MAI (col senno di poi, avrei dovuto sfruttare il buon momento per giocare un terno secco sulla ruota di Milano), mentre il resto del pubblico fa la fila io riesco non so come a registrarmi (per modo di dire, perchè il mio nome non lo trovano e mi fanno un badge a penna) e raggiungere la sala ancora semivuota, così da scegliere il posto più comodo (inizio fila corridoio centrale, l'ideale per battere in ritirata nel caso serva, senza scomodare chi è seduto a fianco).
La debug agli accrediti è davvero colossale, l'evento parte con tre quarti d'ora di ritardo e io comincio a chiedermi se l'averlo chiamato "programmatic" non abbia portato sfiga, perchè qui la programmazione è già saltata.
Il programma in realtà poi filerà via più o meno liscio, intervallato da una pausa caffè e da un light lunch niente male (ho trangugiato 3 minipanini con diversa imbottitura, un panzerottino e i due minidessert), alcuni interventi più interessanti di altri, qualche relatore un pò più prolisso e qualcuno più brillante (a dirla tutta, su almeno un paio ho avuto episodi di abbiocco totale, speriamo di non aver russato), ma nella media una giornata più che positiva che mi ha insegnato che:

- la definizione più semplice (e concreta) del programmatic è "il modo di comprare tramite internet spazi pubblicitari su internet"
In pratica fino ad oggi andavamo pontificando della tracciabilità, misurabilità ed aggiustabilità in tempo reale del mezzo - prodotto della programmazione - però lo pianificavamo, vendevamo e compravamo allo stesso modo delle reclame di Carmencita e il caffè Paulista nel Carosello.

- il mercato si sta spostando dalle Open Auction (o RTB, Real Time Bidding) ai Private Deal, privilegiando la qualità anche se ad un prezzo più alto, rispetto a sparare nel mucchio a basso costo. 
Un po' come diceva mia mamma, "meglio un cappotto solo, ma buono".

- il programmatic fa bene all'azienda che spende meglio i suoi soldi, ma anche al consumatore: una donna all'ottavo mese di gravidanza sarà più felice se non deve litigare per chiudere un overlay che reclamizza la nuova collezione Victoria Secret.

- anche il planner media è più contento se compra in programmatic, perchè ci mette molto meno tempo a comporre un piano che abbia senso, mentre prima ci voleva così tanto lavoro che finiva per rifilare sempre più o meno lo stesso piano al cliente, facendo solo qualche aggiustamento.
Ecco cos'era quel deja vu che mi prendeva quando visionavo un nuovo piano...

- il programmatic si basa sullo studio e l'analisi dei dati per essere efficiente; se i dati mancano o sono insufficienti è a rischio il punto che precede. 
Non voglio sembrare sempliciona, ma mi viene da dire "e grazie al c....!

- "il comportamento del consumer viene tracciato in rete attraverso i cookie; se però accede da mobile è un problema, perchè questo device i cookie non li prevede". 
E' un problema sì, visto che in Italia si vendono molti più smartphone che pc.

- per occuparsi di programmatic serve la barba.
Questa è una mia deduzione, perchè ce l'aveva praticamente la totalità degli uomini in sala. 
Se sei donna magari puoi provare a non depilarti, a meno che non ti piaccia l'effetto Conchita Wurst in total body.





giovedì 16 aprile 2015

Vorrei 2 etti di digital

Alla fine ho ceduto, l'ho fatto anche io. Ho inserito nel profilo LinkedIn, sparse quà e là nel Riassunto e nelle Competenze, con l'apparente logicità che accompagna la descrizione del proprio ruolo, una manciata di quella parolina dal significato magico ed ancestrale, una sorta di "apriti sesamo" del mondo lavorativo senza la quale il curriculum di un professionista del marketing vale meno di quello di un idraulico che si candida per una posizione di chirurgo plastico.
DIGITAL, è come gli spinaci per Bracciodiferro, la spada laser per Luke Skywalker, il botulino per Nicole Kidman: se non ce l'hai, non vai da nessuna parte.
Per carità, non discuto. Fare marketing oggi è imprescindibile dall'uso della rete e dei suoi canali, ma pensare di cambiare ritmo ad una situazione di branding un pò stitica partendo dal contenitore, ma senza avere idea del contenuto, mi pare un pò azzardato e dal risultato parecchio incerto, anche se a dare le direttive fosse Steve Jobs dall'aldilà.
Ecco, io mi sforzo di seguire il manuale dell'outplacement di successo fornitomi dal mio gentile personal counselor, su come affrontare con la giusta assertività un colloquio di lavoro per non mandarlo subito in malora, anche solo con il movimento incontrollabile del sopracciglio che si alza di tre quarti e al posto tuo recita un "ma sei veramente un somaro!" al possibile nuovo datore di lavoro, ma è difficile quando il tenore delle conversazioni è più o meno questo:

- la figura che stiamo cercando si occuperà di innovare digitalmente il marketing aziendale
- molto interessante! Quali sono gli obiettivi che volete raggiungere?
- fare marketing digital
- sì certo, ma pensate che il digitale possa aiutarvi in quale direzione?
- è tutto da costruire, dobbiamo essere innovativi...
- forse non ho capito bene, mi scusi. Immagino vorrete raggiungere nuovi prospects e guadagnare visibilità sulla concorrenza...
- siamo leader di settore, non abbiamo concorrenti
- un riposizionamento del brand?
- mah, forse...ma lei il digital lo conosce?
- conosco le potenzialità del mezzo e saprei come sfruttarle, in base agli obiettivi dell'azienda
- sì, ma quanto lo usa?
- diciamo circa 2 etti ogni chilo di attività. Può andare bene?

L'ultima battuta non è vera, non ho risposto così, però deve averlo fatto il mio sopracciglio, perchè al posto mio hanno preso un planner proveniente da un'agenzia web.

venerdì 27 marzo 2015

Ehilà, c'è qualcuno?

Facciamo un pò di conti, da quant'è che faccio la vita della casalinga disperata? Più o meno cinque mesi? Giorno più, giorno meno siamo lì, cinque mesi passati ad accudire casa e famiglia, cucinando , lavando e rassettando, con lo scrupolo e la costanza che nemmeno Cenerentola nei suoi giorni migliori da emarginata totale ha mai dimostrato.
Cinque mesi che, a dirla tutta, sono volati e che solo ora - e nemmeno tutti i giorni - che la dimensione temporale sta assumendo i termini di un congedo maternità comincio a sentire come leggermente stretta.
Cinque mesi in cui - ho controllato - non ho scritto nemmeno il più piccolo post, fossero anche due righe per fare finta di tenere aggiornato questo blog che leggo solo io e qualcuno che ci finisce per sbaglio (non si spiegherebbe altrimenti la presenza negli analytics di traffico proveniente dalla Russia), come invece mi ero ripromessa di fare nella lista dei buoni propositi, stilata in previsione dell'imminente nuovo status di disoccupata con l'intera giornata a disposizione.
Dopo aver celebrato il mio compleanno e certificato il compimento del mezzo secolo, sono sparita dalle stanze virtuali di Jo come Mina dall'Italia, ma giuro che l'età non ha alcuna correlazione e mai mi è passato per la testa di appendere la tastiera al chiodo perchè mi sento troppo vecchia per certe minchiate (per quelle non si è MAI troppo vecchi): scrivere è e resterà sempre un mio piacere privato, la migliore terapia antiricoglionimento che conosco ed un'efficace cura per l'autostima che da sempre mi accompagna.
La realtà è molto più banale e semplice, il fatto è che mi sono ritrovata piena a dismisura di quegli impegni tipici delle mogli-mamme che ho sempre criticato, non capendo come facessero a protestare per la mancanza di tempo per se stesse, visto che rispetto a me (almeno dal mio punto di vista) avevano molto più tempo per gestire gli impegni casa-famiglia.
Invece no, è proprio qui che sta il tranello: se pensi di avere tutto questo nuovo tempo a disposizione ti senti anche in dovere di riempirlo con nuove incombenze e, se prima avevi la scusa del lavoro che ti impegnava fuori casa 12 ore al giorno, adesso di alibi non ne hai e non puoi pensare di astenerti dal modello #supermom con tutto quello che ne consegue.
Risultato? Amy 2.0 monopolizza le mie giornate ed alimenta la mia ulcera con la sua incompatibilità allo studio, pavimenti e divani hanno improvvisamente necessità di essere ripassati tutti i giorni (mi sono pure comprata una scopa elettrica senza fili per averla sempre pronta all'uso in qualsiasi angolo della casa mi trovi) e mi chiedo come facessi prima a non notarlo, la cucina salutare e dietetica sta diventando una priorità e cucinare tutto in casa una specie di missione santa, la guerra a cibi conservati e veicolo di grassi polinsaturi ha messo al bando ogni genere di merendina preconfezionata, obbligandomi alla preparazione quasi quotidiana di torte e focacce (rigorosamente con lievito madre che va nutrito come un tamagochi sennò muore), lavatrice e ferro da stiro riempiono i momenti rimasti liberi, sia mai che poi mi annoio...
Dimenticavo: come le amiche di Wisteria Lane la mattina vado a fare jogging. Lo faccio quasi sempre, mi piace, mi rilassa e mi carica allo stesso tempo, come la scrittura è un altro momento mio, mi fa stare bene.
Ecco, quest'ultima cosa mi mancherà quando la condizione di casalinga avrà termine, il che mi auguro avvenga entro l'estate, magari con giugno, così le scuole saranno finite e io avrò modo di rilassarmi e smettere di giocare alla moglie di Banderas che fa i biscotti a mano, facendo girare un mulino con la ruota di pietra che credo non esista più nemmeno nel più sperduto villaggio della Basilicata. 
Sveglia Jo! E' ora di togliersi il grembiule e rimettere le scarpe col tacco.

martedì 14 ottobre 2014

Da qui all'eternità, cioè fino a Natale

Uno degli effetti collaterali più frequenti, quando si smette improvvisamente di vivere a 300 all'ora, cercando disperatamente di conciliare lavoro, famiglia, casa, logistica personale (un parrucchiere ogni tanto è un atto di dovuta civiltà) e magari anche qualche piccolo momento d'evasione (un cinema, un teatro, una mostra...quelle cose per cui dopo ti senti in colpa nemmeno ti fossi assentata dagli impegni di mater familias per un mese), è che maturi la sensazione e la convinzione di avere l'eternità a disposizione e, poichè si tratta di una condizione che ti è totalmente sconosciuta, ti ritrovi ad approciarla con l'entusiasmo, l'ingenuità e la rovinosa inesperienza di un adolescente, al quale  i genitori hanno affidato per la prima volta le chiavi di casa e sono partiti per il week-end.
In nemmeno 2 settimane da quando ho salutato il vecchio ufficio sono riuscita a prendere una quantità di impegni che potrebbe bastarmi fino a Natale, perchè lo spirito di Jo non mi abbandona mai e anche se fra poco girerò la boa del mezzo secolo non ho ancora smesso di credere di essere una e trina.
La sensazione dopante che può dare la libertà dagli schemi della consuetudine è devastante e ti avvolge come il canto delle sirene, insinuandoti nella mente che "ecco, hai una seconda possibilità di fare quello che prima non hai fatto", trascurando però di dirti che è - per l'appunto -  UNA seconda possibilità, non TANTE seconde possibilità.
Eccomi qui tutta baldanzosa a giocare il ruolo di madre-premurosa-semprepresente (fra l'altro Amy e Meg non ci sono abituate e mi guardano già di traverso), moglie-superefficiente che si occupa di governare casa in una sorta di ibrido Paola Marella-Ezio Miccio, cuoca-sopraffina che sperimenta portate e pensa di potersi scambiare le ricette con Jamie Oliver e, ovviamente, trainer di una nuova futura figura professionale (data di lancio inizi 2015) che riuscirà a svolgere al meglio il suo ruolo, grazie ad una perfetta preparazione che - guarda un pò - verrà portata avanti  di pari passo con tutto il resto. Sì, lo so, se in questo momento trovassi un quarto d'ora di lucidità per osservarmi dall'esterno probabilmente sarebbe come guardare contemporamente Desperate Housewives, Una mamma per amica, Master Chef Italia e The Apprentice.
D'altra parte bisogna pure mostrare coerenza e mantenere saldi i princìpi perchè, anche nel cambiamento più radicale, la propria natura venga rispettata e in questo - ne sono certa - non mi batte batte nessuno. Basta organizzarsi, no?
Quindi per non farsi mancare nulla e non rilassarsi troppo ho ben pensato di iscrivermi anche ad un corso on-line per apprendere segreti e peculiarità del fare marketing nelle aziende di moda e del lusso (voglio proprio vedere che cosa scopro di diverso da televisori ed ammenicoli elettronici vari con cui mi sono trastullata sinora) che mi terrà occupata per un mesetto, ascoltando videolezioni, interagendo con la classe e svolgendo compiti assegnati nei termini stabiliti.
Così la sera potrò ancora collassare sul divano sfinita, con gli ultimi neuroni che sventolano bandiera bianca e mi pregano di non aprire il libro per rileggere per la decima volta pagina 23.
Perchè tanto mi addormenterò alle prime tre righe, esattamente come ho sempre fatto.

venerdì 26 settembre 2014

L'ultimo giorno della prima parte della mia vita

Stamattina mentre facevo colazione ho pensato "oggi sarà l'ultimo giorno in cui, andando in ufficio, farò tutta una serie di cose che fanno parte della mia vita quotidiana praticamente da sempre".

Assurdamente (o forse sensatamente?) l'elenco che mi sono fatta non comprende quasi nulla che abbia a che fare con attività da supermanager di alto profilo e questo mi ha riempito il cuore di una ventata di aria fresca. Nell'ordine ecco quello che ho pensato:

Non litigherò più con il telecomando che apre la sbarra in uscita anzichè quella in ingresso
Non smoccolerò perchè l'ascensore è al -1 in salita e devo aspettare che arrivi al sesto e ritorni, fermandosi una media di 5 min a piano
Non accenderò più il PC e non andrò in bagno a lavare gli occhiali perchè, per uno strana congettura astrale, mi accorgo che sono lerci appena varco la soglia dell'ufficio
Non sentirò più sbraitare il mio nome alle spalle mentre al telefono sto dicendo che non ci sono 
Non dovrò più cercare di star seria tutte le volte che una riunione inizia con un "Siccome che..."
Non mi lamenterò più perchè andare in bagno a lavarsi i denti dopo pranzo quasi sempre è più impegnativo di una prova per diventare Navy Seal, ma senza il supporto della maschera antigas
Non aprirò più di nascosto la finestra con la maniglia sottratta impropriamente alla manutenzione con il rischio di provocare la bora sull'intero piano
Non dovrò nemmeno più cercare di controllare i muscoli facciali perchè non assumano un'espressione da "penso che tua sia un cretino" durante i marketing meeting
Non lascerò mai più a piedi un presidente 2 volte di seguito in meno di tre mesi
Non penserò più di rischiare la galera per aver sottostimato il potere dei freedrink come call-to-action sul pubblico atteso per un evento
Probabilmente non dormirò nemmeno più in camera tripla pur avendo abbondantemente superato l'età del college
Sicuramente non lo farò più trasportando il letto da una camera all'altra, in pigiama e ciabatte,  insieme ad un facchino cingalese in piena notte

Mi sarebbe piaciuto scrivere che stanotte non ho chiuso occhio pensando a tutto questo, ma non è così, perchè ho dormito benissimo e meglio degli altri giorni.
Sarebbe poetico pensare che mi sento triste all'idea di lasciare, ma nemmeno questo è vero, perchè non mi sento triste affatto. 
Mi mancheranno tutte le piccole stupide quotidianità di questa lunga relazione, che ricordo di più e meglio dei progetti più importanti che ho fatto, ma questo non mi provoca tristezza perchè fanno parte del mio passato e del mio vissuto e stanno lì, insieme al ricordo del primo bacio, delle carote estratte dalla terra insieme a mio zio, del primo giorno di scuola, del momento in cui ho visto le mie figlie per la prima volta o ho parlato con mio padre per l'ultima...
Mia nonna mi diceva che quando si chiude la porta bisognerebbe farlo dandogli le spalle e non guardandola, perchè quel che c'è dietro già lo sai e devi guardare a quello che ancora non conosci. 
Non so se sia vero per tutti, so per certo che è vero per me.


martedì 16 settembre 2014

Non sei (il) solo Luca

Caro Luca, come stai?

Ho saputo del tuo licenziamento e ti scrivo dalle pagine del mio blog per esprimerti la mia solidarietà e tutto il mio conforto (tranquillo, non se lo legge proprio nessuno). 
So cosa stai provando adesso, perché anche io condivido la tua situazione (certo, con qualche differenza sul bonus di uscita, ma non stiamo a guardare il pelo nell’uovo...), ma non ti devi abbattere e devi cercare di vivere questo momento come un’opportunità, come sto facendo io, magari prendendoti una pausa di riflessione.
Per quanto mi riguarda ho dato una frenata così forte a luglio, che adesso non riesco a ripartire. Mi sento come un TIR a pieno carico che prova a sgommare per partire a 100 all’ora, con l’unico risultato di lasciare i copertoni sull’asfalto per muovermi non più di qualche metro.  Metaforicamente parlando, sto in una specie di limbo dai rumori attutiti, confusa da una miriade di forme e colori dalle sfumature più svariate, con l’atteggiamento da rilassata osservatrice sotto l’effetto di stupefacenti non ben identificati.  Capita anche a te o vedi sempre tutto solo rosso?
La cosa strana è che la fine di una relazione di lunga durata, seppure di  natura professionale, dovrebbe portare a un minimo di scompenso, senso di ansia da incertezze future e via dicendo, ma io non avverto nulla di simile e comincio a chiedermi se sia normale che – dopo aver vissuto gli ultimi 10 anni a 300 all’ora in corsia di sorpasso, con i livelli di adrenalina costantemente sopra il limite e la sensazione di affogare come la quotidiana normalità – mi possa essere così facilmente disintossicata dalla sindrome da Dea Khali che mi ha contraddistinta dentro e fuori dall’ufficio. 
Che effetto fa a te che la velocità era il tuo business e adesso ti devi accontentare del rumore del traffico della tangenziale (o forse no, non penso che guidiamo la stessa auto...)?
Non so te, ma io sono in stato confusionale perché non mi riconosco più. Presa la decisione di concedermi un intero mese di vacanza (cosa che non accadeva dalla maternità di Amy 2.0) un po’ per senso di ripicca, lo ammetto (del genere “arrangiatevi un po’ adesso!”), sprofondata in un format vacanziero dove il planning massimo era pensare a cosa infilare nella borsa di paglia e controllare se nel frigo c’era ancora latte per la colazione, devo aver subito una specie di mutazione genetica  che è ancora adesso in atto. Non più bruco, ma nemmeno farfalla, me ne sto bella tranquilla nel mio bozzolo ad osservare quello che fino a poco prima costituiva il mio mondo esterno e tutto ciò che pensavo come irrinunciabile, con la distaccata superiorità di chi sa ormai di non appartenervi più e sta già guardando ad altri orizzonti (sono sincera, non che si veda granchè sinora, ma almeno per ora va bene così). 
Tu hai già iniziato a guardarti in giro o stai ancora pensando a come investire la liquidazione?
Io, rientrata alla scrivania per le ultime settimane nel mio ruolo da castellana della comunicazione di un regno decaduto, faccio fatica a ri-ribaltare (no, non è un errore di battitura, intendo proprio ribaltare il ribaltato) la scala delle priorità della mia giornata, così mi ritrovo ad esempio in un marketing meeting a pensare se per cena siano meglio i calamari con la verdura saltata nel wok (..azz.., mi manca il porro!) o gli spaghetti gamberi e zucchine. E credimi, non è un dilemma da poco, anzi merita più attenzione dei dati di mercato che dovrei tenere in debita considerazione per lo sviluppo del nuovo piano promozionale, ma i cui risultati – per inciso – non sarò nemmeno più qui a valutare e che quindi mi interessano tanto quanto sapere chi sia la neoeletta Miss Italia.
Lo so cosa pensi e hai ragione, mi spiace che tu non abbia la minima idea di come si cucini un porro e non ti puoi neppure distrarre con questo pensiero, ma magari puoi pensare a quale cravatta di Marinella ancora ti manca nella cabina armadio, così tanto per passare il tempo e prenderti una pausa di riflessione.
Tanto lo sappiamo che così non può durare e che fra un po’ sentiremo nuovamente il richiamo del capitalismo e di tutte le sue regole, ma per quanto mi riguarda la terapia estiva ha fatto davvero effetto e la cura disintossicante dovrebbe garantirmi copertura per almeno un altro paio di mesi, nei quali mi potrò dedicare ad attività più serie, come andare al mercato a contrattare il prezzo dei carciofi o discutere con le altre mamme al corso di ginnastica artistica, del fatto che sia meglio il body con le stelle in rilievo perché in foto rende di più. 
Magari tu puoi distrarti con la beneficenza, nel caso ti avanzi qualche spicciolo dal bonus (scusa se batto ancora su questo chiodo, ma che vuoi, ne hanno talmente parlato tutti, male-male non ti è andata, no?):  ti sistema subito la coscienza nel caso tu abbia qualche carognata da farti perdonare e fa sempre tanto filantropo illuminato alla Bill Gates…
Fatti coraggio e cerca di stare su, vedrai che qualcosa salta fuori: non avremo più l’età per fare stage ma, come si dice, l’esperienza è ancora un bel valore da portare in azienda e, se sei stato furbo, avrai ben carpito ai meccanici qualche segreto durante i pit-stop e i cambio gomme. Non storcere il naso, chè meccanici ed idraulici sono più ricercati di un cardiochirurgo (te lo dice una che sta con il rubinetto che perde da un anno).

Se poi dovesse mettersi proprio male, puoi sempre pensare di investire un’altra piccola quota della tua buonuscita (sono petulante dici?) per comprare il campo di porri che sta dietro casa mia, così tu potrai tornare a fare l’AD di un’azienda agricola (magari la chiamiamoa Bio start-up, così è già pronta per essere quotata in borsa) e io – se proprio non ti serve una responsabile del marketing communication – posso sempre venire a casa tua per cucinarti un tortino di porri.

Con tanta stima e rispetto, la tua affezionata Jo.

giovedì 24 luglio 2014

Le regole del mercato virtuale e la cortesia del bottegaio

Questa settimana ho fatto 5 acquisti e, in tutti i casi, non mi sono mai spostata dalla sedia.
Nell’ordine ho comprato sui cosiddetti e-shop  le barre porta-tutto per l’automobile, 3 portabici, articoli per la cura del gatto, una sottogonna e una borsina da sera, giungendo ad una conclusione lapidaria: l’on-line shopping dà dipendenza in sé, indipendentemente da cosa si stia comprando.
Spiego di seguito il perché di questo assunto.
Per quanto in Italia ci sia ancora parecchia resistenza e l’e-commerce stenti a decollare, i vantaggi offerti dai negozi in rete sono davvero molteplici e, in alcuni casi, unici rispetto al negozio tradizionale, per esempio:
ü  la comodità di impostare criteri di selezione molto verticali per arrivare a ciò che cerchi senza disperdere energie (io per la borsina da sera ho speso un intero sabato mattina per visitare solo 4 negozi, spostandomi in auto per raggiungerli, per poi desistere perché non trovavo il genere che avevo in testa)
ü  entrare ed uscire dai negozi con la velocità di una lepre, rivoltando la merce sugli scaffali virtuali senza intravedere la faccia ingrugnita della commessa che ti guarda in cagnesco
ü  nella stragrande maggioranza dei casi puoi verificare subito se il prodotto che ti interessa è come sembra o è meglio che passi ad altro, grazie alla sezione recensioni/opinioni (in alternativa si potrebbe pensare di seguire la ragazza che ha appena acquistato l’olio per capelli che ti ispira tanto e che costa come un anello di Bulgari, scoprire dove abita e presentarsi dopo 2 giorni per sapere se i suoi capelli adesso sono effettivamente come quelli di Kate Middleton)
ü  non dover guardare l’orologio perché il negozio chiuderà fra 10 minuti e la commessa già scalpita
ü  rimanere in pigiama e ciabatte (anche in mutande se fa caldo) per tutta la durata della shopping experience.

Ce n’è poi uno su tutti che io – da brava brianzola un po’ tirchia – apprezzo particolarmente, cioè la possibilità di comparare i prezzi e scegliere, a parità di prodotto o servizio, l’offerta migliore, in un vero trionfo di quella che si definisce “libera concorrenza”.
Trovo fantastica questa totale trasparenza e la facoltà di scelta che il cliente può esercitare, mi ricorda quando andavo al mercato con mia nonna e la vedevo verificare il prezzo al chilo delle melanzane su tutti i banchi della verdura, per scegliere – quasi sempre - quello che costava di meno. E che cura ed attenzione arrivava da quei bottegai per tenersi stretta la cliente: cortesia, sorrisi e un veloce servizio si concludevano sempre con “la tratto bene perché così son sicuro che ritorna da me!”.
Perché anche su quest’ultimo aspetto l’e-commerce non ti delude: tutti i miei 5 acquisti sono arrivati in un massimo di 3 giorni dall’acquisto (in un paio di casi addirittura il giorno dopo!), il servizio post-vendita mi ha relazionato costantemente sullo stato del mio acquisto (pagamento accettato, ordine concluso, merce uscita dal magazzino, merce in consegna) e, laddove ho avuto necessità di chiarimenti o correzioni, i colloqui via mail o telefonici si sono rivelati cortesi e soddisfacenti, con la risoluzione immediata dell’eventuale criticità oggetto del contatto.

D’altro canto, stamattina sono entrata in un supermercato di alimentari per acquistare 2 panini e del prosciutto (mi servivano per la colazione al sacco di Amy 2.0) e, non avendo contanti, ho presentato la mia carta di credito. Sorvolo sul fatto che la persona in cassa non ha risposto al mio “Buongiorno” e non ha neppure sollevato gli occhi per guardarmi, in compenso ha commentato scocciata:
“la carta di credito per 6 euro e 40? Non ha contanti?”
“no mi spiace, non sono riuscita a prelevare” (perché poi mi giustifico?)
“bisognerebbe organizzarsi…e se oggi il POS non funzionasse?”
“perché, non funziona?”
“no funziona, dicevo così per dire”
“meno male, perché io ho solo questa”
“vabbè, la prossima volta però…”

La prossima volta vado su tramezzino.it e ordino il lunch bag per Amy 2.0 fra quelli più costosi, poi passo da te in negozio per mostrarti la conferma d’ordine sullo smartphone e dirti che non mi vedrai più nemmeno per comprare un pacchetto di chewing-gum. 
Perché come avrebbe detto mia nonna “quello lì ha i prezzi più buoni, ma è un cafone”.