Uno degli effetti collaterali più frequenti, quando si smette improvvisamente di vivere a 300 all'ora, cercando disperatamente di conciliare lavoro, famiglia, casa, logistica personale (un parrucchiere ogni tanto è un atto di dovuta civiltà) e magari anche qualche piccolo momento d'evasione (un cinema, un teatro, una mostra...quelle cose per cui dopo ti senti in colpa nemmeno ti fossi assentata dagli impegni di mater familias per un mese), è che maturi la sensazione e la convinzione di avere l'eternità a disposizione e, poichè si tratta di una condizione che ti è totalmente sconosciuta, ti ritrovi ad approciarla con l'entusiasmo, l'ingenuità e la rovinosa inesperienza di un adolescente, al quale i genitori hanno affidato per la prima volta le chiavi di casa e sono partiti per il week-end.
In nemmeno 2 settimane da quando ho salutato il vecchio ufficio sono riuscita a prendere una quantità di impegni che potrebbe bastarmi fino a Natale, perchè lo spirito di Jo non mi abbandona mai e anche se fra poco girerò la boa del mezzo secolo non ho ancora smesso di credere di essere una e trina.
La sensazione dopante che può dare la libertà dagli schemi della consuetudine è devastante e ti avvolge come il canto delle sirene, insinuandoti nella mente che "ecco, hai una seconda possibilità di fare quello che prima non hai fatto", trascurando però di dirti che è - per l'appunto - UNA seconda possibilità, non TANTE seconde possibilità.
Eccomi qui tutta baldanzosa a giocare il ruolo di madre-premurosa-semprepresente (fra l'altro Amy e Meg non ci sono abituate e mi guardano già di traverso), moglie-superefficiente che si occupa di governare casa in una sorta di ibrido Paola Marella-Ezio Miccio, cuoca-sopraffina che sperimenta portate e pensa di potersi scambiare le ricette con Jamie Oliver e, ovviamente, trainer di una nuova futura figura professionale (data di lancio inizi 2015) che riuscirà a svolgere al meglio il suo ruolo, grazie ad una perfetta preparazione che - guarda un pò - verrà portata avanti di pari passo con tutto il resto. Sì, lo so, se in questo momento trovassi un quarto d'ora di lucidità per osservarmi dall'esterno probabilmente sarebbe come guardare contemporamente Desperate Housewives, Una mamma per amica, Master Chef Italia e The Apprentice.
D'altra parte bisogna pure mostrare coerenza e mantenere saldi i princìpi perchè, anche nel cambiamento più radicale, la propria natura venga rispettata e in questo - ne sono certa - non mi batte batte nessuno. Basta organizzarsi, no?
Quindi per non farsi mancare nulla e non rilassarsi troppo ho ben pensato di iscrivermi anche ad un corso on-line per apprendere segreti e peculiarità del fare marketing nelle aziende di moda e del lusso (voglio proprio vedere che cosa scopro di diverso da televisori ed ammenicoli elettronici vari con cui mi sono trastullata sinora) che mi terrà occupata per un mesetto, ascoltando videolezioni, interagendo con la classe e svolgendo compiti assegnati nei termini stabiliti.
Così la sera potrò ancora collassare sul divano sfinita, con gli ultimi neuroni che sventolano bandiera bianca e mi pregano di non aprire il libro per rileggere per la decima volta pagina 23.
Perchè tanto mi addormenterò alle prime tre righe, esattamente come ho sempre fatto.
Mi chiamo Jo 2.0 e discendo psicologicamente dalla famiglia March. Con l'intervento incidentale di Laurie ho partorito Meg ed Amy (Beth l'ho saltata), sto cercando di liberarmi dal morbo del marketing e vivo facendo progetti su cosa farò da grande.
martedì 14 ottobre 2014
venerdì 26 settembre 2014
L'ultimo giorno della prima parte della mia vita
Stamattina mentre facevo colazione ho pensato "oggi sarà l'ultimo giorno in cui, andando in
ufficio, farò tutta una serie di cose che fanno parte della mia vita quotidiana
praticamente da sempre".
Assurdamente (o forse sensatamente?) l'elenco che mi sono
fatta non comprende quasi nulla che abbia a che fare con attività da supermanager di alto profilo e questo mi ha riempito il cuore di una ventata di aria fresca. Nell'ordine ecco quello che ho pensato:
Non litigherò più con il telecomando che apre la sbarra in
uscita anzichè quella in ingresso
Non smoccolerò perchè l'ascensore è al -1 in salita e devo
aspettare che arrivi al sesto e ritorni, fermandosi una media di 5 min a piano
Non accenderò più il PC e non andrò in bagno a lavare gli
occhiali perchè, per uno strana congettura astrale, mi accorgo che sono lerci
appena varco la soglia dell'ufficio
Non sentirò più sbraitare il mio nome alle spalle mentre al
telefono sto dicendo che non ci sono
Non dovrò più cercare di star seria tutte le volte che una
riunione inizia con un "Siccome che..."
Non mi lamenterò più perchè andare in bagno a lavarsi i
denti dopo pranzo quasi sempre è più impegnativo di una prova per diventare
Navy Seal, ma senza il supporto della maschera antigas
Non aprirò più di nascosto la finestra con la maniglia
sottratta impropriamente alla manutenzione con il rischio di provocare la bora
sull'intero piano
Non dovrò nemmeno più cercare di controllare i muscoli
facciali perchè non assumano un'espressione da "penso che tua sia un
cretino" durante i marketing meeting
Non lascerò mai più a piedi un presidente 2 volte di seguito in meno di tre mesi
Non penserò più di rischiare la galera per aver sottostimato
il potere dei freedrink come call-to-action sul pubblico atteso per un evento
Probabilmente non dormirò nemmeno più in camera tripla pur avendo abbondantemente superato l'età del college
Sicuramente non lo farò più trasportando il letto da una
camera all'altra, in pigiama e ciabatte,
insieme ad un facchino cingalese in piena notte
Mi sarebbe piaciuto scrivere che stanotte non ho
chiuso occhio pensando a tutto questo, ma non è così, perchè ho dormito
benissimo e meglio degli altri giorni.
Sarebbe poetico pensare che mi sento triste all'idea di lasciare, ma
nemmeno questo è vero, perchè non mi sento triste affatto.
Mi mancheranno tutte le piccole stupide quotidianità di questa lunga relazione, che ricordo di più e meglio dei progetti più importanti che ho fatto, ma questo non mi provoca tristezza perchè fanno parte del mio passato e
del mio vissuto e stanno lì, insieme al ricordo del primo bacio, delle carote
estratte dalla terra insieme a mio zio, del primo giorno di scuola, del momento
in cui ho visto le mie figlie per la prima volta o ho parlato con mio padre per
l'ultima...
Mia nonna mi diceva che quando si chiude la porta bisognerebbe
farlo dandogli le spalle e non guardandola, perchè quel che c'è dietro già lo
sai e devi guardare a quello che ancora non conosci.
Non so se sia vero per
tutti, so per certo che è vero per me.
martedì 16 settembre 2014
Non sei (il) solo Luca
Caro Luca, come stai?
Ho saputo del tuo licenziamento e ti scrivo dalle pagine del
mio blog per esprimerti la mia solidarietà e tutto il
mio conforto (tranquillo, non se lo legge proprio nessuno).
So cosa stai provando adesso, perché anche io condivido la tua
situazione (certo, con qualche differenza sul bonus di uscita, ma non stiamo a
guardare il pelo nell’uovo...), ma non ti devi abbattere e devi cercare di vivere
questo momento come un’opportunità, come sto facendo io, magari prendendoti una pausa di riflessione.
Per quanto mi riguarda ho dato una frenata così forte a
luglio, che adesso non riesco a ripartire. Mi sento come un TIR a pieno carico
che prova a sgommare per partire a 100 all’ora, con l’unico risultato di
lasciare i copertoni sull’asfalto per muovermi non più di qualche metro. Metaforicamente parlando, sto in una specie
di limbo dai rumori attutiti, confusa da una miriade di forme e colori dalle
sfumature più svariate, con l’atteggiamento da rilassata osservatrice sotto
l’effetto di stupefacenti non ben identificati.
Capita anche a te o vedi sempre tutto solo rosso?
La cosa strana è che la fine di una relazione di
lunga durata, seppure di natura
professionale, dovrebbe portare a un minimo di scompenso, senso di ansia da
incertezze future e via dicendo, ma io non avverto nulla di simile e comincio a chiedermi se sia normale che – dopo aver vissuto gli ultimi 10 anni
a 300 all’ora in corsia di sorpasso, con i livelli di adrenalina costantemente
sopra il limite e la sensazione di affogare come la quotidiana normalità – mi
possa essere così facilmente disintossicata dalla sindrome da Dea Khali che mi
ha contraddistinta dentro e fuori dall’ufficio.
Che effetto fa a te che la
velocità era il tuo business e adesso ti devi accontentare del rumore del
traffico della tangenziale (o forse no, non penso che guidiamo la stessa auto...)?
Non so te, ma io sono in stato confusionale perché non mi
riconosco più. Presa la decisione di concedermi un intero mese di vacanza (cosa che
non accadeva dalla maternità di Amy 2.0) un po’ per senso di ripicca, lo
ammetto (del genere “arrangiatevi un po’ adesso!”), sprofondata in un format
vacanziero dove il planning massimo era pensare a cosa infilare nella borsa di
paglia e controllare se nel frigo c’era ancora latte per la colazione, devo
aver subito una specie di mutazione genetica
che è ancora adesso in atto. Non più bruco, ma nemmeno farfalla, me ne
sto bella tranquilla nel mio bozzolo ad osservare quello che fino a poco prima costituiva
il mio mondo esterno e tutto ciò che pensavo come irrinunciabile, con la
distaccata superiorità di chi sa ormai di non appartenervi più e sta già
guardando ad altri orizzonti (sono sincera, non che si veda granchè sinora, ma almeno per ora va bene così).
Tu
hai già iniziato a guardarti in giro o stai ancora pensando a come investire la
liquidazione?
Io, rientrata alla scrivania per le ultime settimane nel mio
ruolo da castellana della comunicazione di un regno decaduto, faccio fatica a
ri-ribaltare (no, non è un errore di battitura, intendo proprio ribaltare il
ribaltato) la scala delle priorità della mia giornata, così mi ritrovo ad esempio in un marketing meeting a pensare se per cena siano meglio i calamari con la verdura
saltata nel wok (..azz.., mi manca il porro!) o gli spaghetti gamberi e
zucchine. E credimi, non è un dilemma da poco, anzi merita più
attenzione dei dati di mercato che
dovrei tenere in debita considerazione per lo sviluppo del nuovo piano
promozionale, ma i cui risultati – per inciso – non sarò nemmeno più qui a
valutare e che quindi mi interessano tanto quanto sapere chi sia la neoeletta Miss
Italia.
Lo so cosa pensi e hai ragione, mi spiace che tu non abbia
la minima idea di come si cucini un porro e non ti puoi neppure distrarre con
questo pensiero, ma magari puoi pensare a quale cravatta di Marinella ancora ti
manca nella cabina armadio, così tanto per passare il tempo e prenderti una
pausa di riflessione.
Tanto lo sappiamo che così non può durare e che fra un po’ sentiremo
nuovamente il richiamo del capitalismo e di tutte le sue regole, ma per quanto
mi riguarda la terapia estiva ha fatto davvero effetto e la cura disintossicante
dovrebbe garantirmi copertura per almeno un altro paio di mesi, nei quali mi
potrò dedicare ad attività più serie, come andare al mercato a contrattare il
prezzo dei carciofi o discutere con le altre mamme al corso di ginnastica
artistica, del fatto che sia meglio il body con le stelle in rilievo perché in
foto rende di più.
Magari tu puoi distrarti con la beneficenza, nel caso ti
avanzi qualche spicciolo dal bonus (scusa se batto ancora su questo chiodo, ma
che vuoi, ne hanno talmente parlato tutti, male-male non ti è andata,
no?): ti sistema subito la coscienza nel caso tu abbia qualche carognata da farti perdonare e fa sempre tanto
filantropo illuminato alla Bill Gates…
Fatti coraggio e cerca di stare su, vedrai che qualcosa
salta fuori: non avremo più l’età per fare stage ma, come si dice, l’esperienza
è ancora un bel valore da portare in azienda e, se sei stato furbo, avrai ben carpito ai meccanici qualche segreto durante i pit-stop e i cambio gomme. Non storcere il naso, chè meccanici ed idraulici sono più ricercati di un cardiochirurgo (te lo dice una che sta con il rubinetto che perde da un anno).
Se poi dovesse mettersi proprio male, puoi sempre pensare di investire un’altra piccola quota della tua buonuscita (sono petulante dici?) per comprare il campo di porri che sta dietro casa mia, così tu potrai tornare a fare l’AD di un’azienda agricola (magari la chiamiamoa Bio start-up, così è già pronta per essere quotata in borsa) e io – se proprio non ti serve una responsabile del marketing communication – posso sempre venire a casa tua per cucinarti un tortino di porri.
Con tanta stima e rispetto, la tua affezionata Jo.
giovedì 24 luglio 2014
Le regole del mercato virtuale e la cortesia del bottegaio
Questa
settimana ho fatto 5 acquisti e, in tutti i casi, non mi sono mai spostata
dalla sedia.
Nell’ordine ho
comprato sui cosiddetti e-shop le barre porta-tutto per l’automobile, 3
portabici, articoli per la cura del gatto, una sottogonna e una borsina da sera,
giungendo ad una conclusione lapidaria: l’on-line shopping dà dipendenza in sé,
indipendentemente da cosa si stia comprando.
Spiego di
seguito il perché di questo assunto.
Per quanto
in Italia ci sia ancora parecchia resistenza e l’e-commerce stenti a decollare,
i vantaggi offerti dai negozi in rete sono davvero molteplici e, in alcuni
casi, unici rispetto al negozio tradizionale, per esempio:
ü
la comodità di impostare criteri di selezione
molto verticali per arrivare a ciò che cerchi senza disperdere energie (io per
la borsina da sera ho speso un intero sabato mattina per visitare solo 4
negozi, spostandomi in auto per raggiungerli, per poi desistere perché non
trovavo il genere che avevo in testa)
ü
entrare ed uscire dai negozi con la velocità di
una lepre, rivoltando la merce sugli scaffali virtuali senza intravedere la
faccia ingrugnita della commessa che ti guarda in cagnesco
ü
nella stragrande maggioranza dei casi puoi verificare
subito se il prodotto che ti interessa è come sembra o è meglio che passi ad
altro, grazie alla sezione recensioni/opinioni (in alternativa si potrebbe
pensare di seguire la ragazza che ha appena acquistato l’olio per capelli che
ti ispira tanto e che costa come un anello di Bulgari, scoprire dove abita e
presentarsi dopo 2 giorni per sapere se i suoi capelli adesso sono effettivamente
come quelli di Kate Middleton)
ü
non dover guardare l’orologio perché il negozio
chiuderà fra 10 minuti e la commessa già scalpita
ü
rimanere in pigiama e ciabatte (anche in mutande
se fa caldo) per tutta la durata della shopping experience.
Ce n’è poi uno
su tutti che io – da brava brianzola un po’ tirchia – apprezzo particolarmente,
cioè la possibilità di comparare i prezzi e scegliere, a parità di prodotto o
servizio, l’offerta migliore, in un vero trionfo di quella che si definisce “libera
concorrenza”.
Trovo
fantastica questa totale trasparenza e la facoltà di scelta che il cliente può
esercitare, mi ricorda quando andavo al mercato con mia nonna e la vedevo
verificare il prezzo al chilo delle melanzane su tutti i banchi della verdura,
per scegliere – quasi sempre - quello che costava di meno. E che cura ed attenzione
arrivava da quei bottegai per tenersi stretta la cliente: cortesia, sorrisi e
un veloce servizio si concludevano sempre con “la tratto bene perché così son
sicuro che ritorna da me!”.
Perché anche
su quest’ultimo aspetto l’e-commerce non ti delude: tutti i miei 5 acquisti
sono arrivati in un massimo di 3 giorni dall’acquisto (in un paio di casi
addirittura il giorno dopo!), il servizio post-vendita mi ha relazionato
costantemente sullo stato del mio acquisto (pagamento accettato, ordine
concluso, merce uscita dal magazzino, merce in consegna) e, laddove ho avuto
necessità di chiarimenti o correzioni, i colloqui via mail o telefonici si sono
rivelati cortesi e soddisfacenti, con la risoluzione immediata dell’eventuale
criticità oggetto del contatto.
D’altro
canto, stamattina sono entrata in un supermercato di alimentari per acquistare
2 panini e del prosciutto (mi servivano per la colazione al sacco di Amy 2.0)
e, non avendo contanti, ho presentato la mia carta di credito. Sorvolo sul
fatto che la persona in cassa non ha risposto al mio “Buongiorno” e non ha
neppure sollevato gli occhi per guardarmi, in compenso ha commentato scocciata:
“la carta di
credito per 6 euro e 40? Non ha contanti?”
“no mi
spiace, non sono riuscita a prelevare” (perché poi mi giustifico?)
“bisognerebbe
organizzarsi…e se oggi il POS non funzionasse?”
“perché, non
funziona?”
“no
funziona, dicevo così per dire”
“meno male, perché
io ho solo questa”
“vabbè, la
prossima volta però…”
La prossima
volta vado su tramezzino.it e ordino
il lunch bag per Amy 2.0 fra quelli più costosi, poi passo da te in negozio per
mostrarti la conferma d’ordine sullo smartphone e dirti che non mi vedrai più
nemmeno per comprare un pacchetto di chewing-gum.
Perché come avrebbe detto mia
nonna “quello lì ha i prezzi più buoni, ma è un cafone”.
mercoledì 25 giugno 2014
Piccoli patrioti tifosi
"Sono troppo arrabbiata mamma, non ci posso credere, non può essere finita!"
Guardo incredula Amy 2.0 - flessuosa ginnasta pre-adolescente, sinora interessata solo dalle evoluzioni di Carlotta Ferlito - accendersi ed accalorarsi per la sconfitta dell'Italia, pettinata dall'Uruguay in una delle partite più brutte di sempre, che di fatto mette fine ad ogni sogno di portarsi a casa una nuova versione della Coppa del Mondo.
Mentre io godevo di una sauna gratuita offerta dalla Stirella in azione su pigna di capi da stirare pari al guardaroba dell'intera delegazione italiana in Brasile, lei seguiva la partita stravaccata sul divano, con una postura scomposta ed un repertorio di vocaboli e gestualità degni del più navigato degli hooligan, tanto che non mi sarei stupita se nell'intervallo si fosse alzata per prendere una birra dal frigo e se la fosse trangugiata in un fiato, con rutto libero a seguire.
"Non si può andare a casa così! Ti rendi conto? Mandati a casa dall'Uruguay"
"Cos'ha l'Uruguay di strano?"
"Non è mica il Brasile"
"Ma nemmeno la squadra dell'oratorio"
"Si vede che non capisci di calcio"
"E tu da quando ne capisci?"
Mi chiedevo dove e quando avesse maturato una tale competenza calcistica ed un tale attaccamento, che fino a quel momento mi erano totalmente sconosciuti. Verosimilmente poche settimane di oratorio feriale l'avevano immersa nell'esperienza del tifo collettivo con relative discussioni pre e post partita di rito e da qui la necessità di disporre di adeguate credenziali d'accesso al gruppo per poterne fare parte e dire la propria. Poi però deve essere scattato qualcosa che ha portato l'esperienza ad un altro livello, il coinvolgimento strumentale è diventato passione e, senza alcuno stimolo da parte nostra, ha generato incredibilmente senso di appartenenza, fierezza ed orgoglio.
Mi stavo quasi commuovendo, ammirando lo spirito patriottico che non avevo mai visto prima in lei, cercavo di sminuire perchè la sua insoddisfazione montava e volevo evitare di che germogliasse in lei un piccolo Biscardi prima ancora di aver raggiunto l'età della ragione.
"Non esagerare ora, ne stai facendo una tragedia, è un gioco e non sarà nemmeno l'ultima occasione che avrai di vederne uno"
"Tu non hai capito. Questa è la prima volta che posso seguire i Mondiali, l'Italia che gioca per vincere contro le altre nazioni, far vedere che siamo i più bravi...anche quattro anni fa c'erano i Mondiali, ma io ero piccola, non potevo parlarne perchè non capivo bene. Questo, mamma, è il mio primo Mondiale consapevole".
Non avevo considerato i Mondiali da un punto di vista formativo patriottico.
Che dire, può più il pallone che la Costituzione...
Guardo incredula Amy 2.0 - flessuosa ginnasta pre-adolescente, sinora interessata solo dalle evoluzioni di Carlotta Ferlito - accendersi ed accalorarsi per la sconfitta dell'Italia, pettinata dall'Uruguay in una delle partite più brutte di sempre, che di fatto mette fine ad ogni sogno di portarsi a casa una nuova versione della Coppa del Mondo.
Mentre io godevo di una sauna gratuita offerta dalla Stirella in azione su pigna di capi da stirare pari al guardaroba dell'intera delegazione italiana in Brasile, lei seguiva la partita stravaccata sul divano, con una postura scomposta ed un repertorio di vocaboli e gestualità degni del più navigato degli hooligan, tanto che non mi sarei stupita se nell'intervallo si fosse alzata per prendere una birra dal frigo e se la fosse trangugiata in un fiato, con rutto libero a seguire.
"Non si può andare a casa così! Ti rendi conto? Mandati a casa dall'Uruguay"
"Cos'ha l'Uruguay di strano?"
"Non è mica il Brasile"
"Ma nemmeno la squadra dell'oratorio"
"Si vede che non capisci di calcio"
"E tu da quando ne capisci?"
Mi chiedevo dove e quando avesse maturato una tale competenza calcistica ed un tale attaccamento, che fino a quel momento mi erano totalmente sconosciuti. Verosimilmente poche settimane di oratorio feriale l'avevano immersa nell'esperienza del tifo collettivo con relative discussioni pre e post partita di rito e da qui la necessità di disporre di adeguate credenziali d'accesso al gruppo per poterne fare parte e dire la propria. Poi però deve essere scattato qualcosa che ha portato l'esperienza ad un altro livello, il coinvolgimento strumentale è diventato passione e, senza alcuno stimolo da parte nostra, ha generato incredibilmente senso di appartenenza, fierezza ed orgoglio.
Mi stavo quasi commuovendo, ammirando lo spirito patriottico che non avevo mai visto prima in lei, cercavo di sminuire perchè la sua insoddisfazione montava e volevo evitare di che germogliasse in lei un piccolo Biscardi prima ancora di aver raggiunto l'età della ragione.
"Non esagerare ora, ne stai facendo una tragedia, è un gioco e non sarà nemmeno l'ultima occasione che avrai di vederne uno"
"Tu non hai capito. Questa è la prima volta che posso seguire i Mondiali, l'Italia che gioca per vincere contro le altre nazioni, far vedere che siamo i più bravi...anche quattro anni fa c'erano i Mondiali, ma io ero piccola, non potevo parlarne perchè non capivo bene. Questo, mamma, è il mio primo Mondiale consapevole".
Non avevo considerato i Mondiali da un punto di vista formativo patriottico.
Che dire, può più il pallone che la Costituzione...
giovedì 12 giugno 2014
Morire (adesso) conviene
Si fa un bel dire che la pubblicità dinamica non funziona più.
Stamattina ho rischiato di stamparmi in tangenziale, ho sfiorato il guard-rail
per un soffio e rischiato di carambolare sull’AUDI che procedeva alla mia
sinistra in corsia di sorpasso, a causa del messaggio pubblicitario visto sul
furgone di un’agenzia di pompe funebri. Ero così rapita dal contenuto che ho
realizzato troppo tardi che sarebbe stato utile – quanto meno ai fini
documentaristici – scattare una foto al volo (lo so benissimo che non si
dovrebbe…) per poter fare un’analisi a posteriori della strategia comunicativa,
che a mio parere parte da un concetto fondamentale: morire non è più un lusso
per pochi, adesso tutti possiamo permetterci
di farlo perché è arrivato “L’Outlet del Funerale”.
La scelta del naming non è casuale, perché riassume come da
manuale la “mission” aziendale: un brand che ti consente di seppellire i tuoi
cari (si chiameranno così perchè costano?) a prezzi d’occasione e senza
sorprese che possono farti sforare il budget. Sì, perché se di questi tempi il
nonno ultranovantenne che faticava a campare con la pensione di 500 euro al
mese decide di passare a miglior vita, accompagnarlo nell’ultimo viaggio può
costare una cifra che l’italiano medio, ora come ora, fatica a mettere insieme
con lo stipendio di 3 mesi.
Ed ecco quindi l’intuizione di business: il
funerale low cost a pacchetto, da scegliere in base alle proprie esigenze come l’abbonamento
della palestra - basic, medium o premium – come strillato a lettere cubitali
dalle fiancate del furgone che ha rischiato di farmi quasi ammazzare.
Ci tengo a precisare una cosa: non mi interessa farne un discorso etico o morale - anche perché
di argomenti da commentare in tal senso ne avrei ben altri - ma questa realtà ha scatenato in me tutta una serie di elucubrazioni e proiezioni di quello che potrebbe potenzialmente svilupparsi su questa scia, in
tempi di ricerca forsennata di contesti produttivi o ancora in crescita, che potrebbero dare nuova linfa a un mercato del lavoro in stagnazione, magari aiutati da incentivi statali posti in essere dal governo di turno. Le possibilità sono davvero infinite, io ne ho immaginate alcune.
Il nascere di nuove catene di discount? Franchising organizzati che si
spartiscono il territorio in base alla percentuale di ottuagenari prossimi all’estremo
saluto, piuttosto che aree inquinate dove la permanenza media in questo mondo è
limitata?
E come gestiremo l’offerta commerciale per far fronte alla libera concorrenza? Operazioni Sottocosto
(offerta limitata per i primi 100
defunti)? Rottamazione (portaci una
vecchia lapide, te la valutiamo 100 Euro!)? 3x2 (sotterra madre e padre, se ti muore uno zio il suo funerale è gratis)?
Perché una cosa è certa, questo è un mercato che non si
esaurisce, la domanda rimarrà costante e si tratterà soltanto di trovare nuove
formule per affermarsi e battere la concorrenza, guadagnando quote che
consentano di supplire alla riduzione della marginalità, come ci insegna il
capitalismo globale.
Un solo dubbio mi rimane, legato all’idea fissa che mi
tormenta da un po’ di tempo a questa parte, cioè che il nuovo concetto di sharing
economy soppianterà in tempi nemmeno troppo lunghi l’attuale modello economico. Quando questo avverrà, l’Outlet
del Funerale sarà abbastanza smart da cogliere l’opportunità e proporre il
funerale di gruppo, con l'acquisto dei loculi in multiproprietà?
Ripensandoci questa idea me la tengo per me , potrei averne
bisogno in futuro per sviluppare una promozione vincente da iscrivere al Grand Prix della
Pubblicità.
mercoledì 4 giugno 2014
A lezione di marketing dal mio panettiere
Sabato mattina Romano, il mio panettiere, aveva un cartello
appeso in vetrina:
“1 lit di latte in omaggio con l’acquisto di 1 Kg di pane
speciale”.
Stamattina ho aperto gli occhi e questo è stato il primo
pensiero che mi è passato per la testa. Sarà che ero più dolorante del solito,
con questa maledetta cervicale che mi perseguita e la consapevolezza che l’appuntamento
dall’osteopata ancora una volta è stato rimandato perché c’è sempre qualcosa di
più urgente che si sovrappone (la festa di fine anno della scuola, una riunione
improvvisa, la convocazione di un’assemblea straordinaria per le scuole medie
del prossimo anno…). Comunque, mi sono svegliata e – con il pensiero del
cartello di Romano in testa - ho sorriso subito dopo aver aperto gli occhi,
mentre una piacevole sensazione positiva si allargava fino a solleticarmi le
dita dei piedi. Non c’era nulla di diverso dagli altri giorni, ma la luce che
filtrava dalle imposte, le voci che arrivavano dalla cucina insieme all’odore
del caffè, il gatto che miagolava davanti alla porta della camera da letto perché
voleva entrare, mi hanno fatto pensare qualcosa che dovrei pensare più spesso,
cioè che ho tutto quello di cui ho bisogno e che mi complico la vita alla
ricerca di formule che mi possano garantire felicità. E’ tutto lì, nel cartello
della promozione di Romano.
Mi sono svegliata filosofa-tantrica? Non credo proprio
vedendo quanto ancora riesco ad incazzarmi per un nonnulla, ma mi rendo conto di
come tutto quello che fino a ieri aveva costituito la mia vita professionale (e
quindi di riflesso quella privata) fissando punti di riferimento, convinzioni e
certezze, si stia sgretolando ogni giorno di più, lasciando entrare la luce
della consapevolezza che questo non sia per niente un momento negativo, ma il
principio di una nuova e migliore fase della mia vita. E magari una vita
lavorativa, per intenderci, dove non sprechi un terzo delle tue giornate giustificando
e dando un senso ad attività promozionali che tu non avresti mai deciso, che di
senso non ne hanno e che – soprattutto – sai già che falliranno e quindi il tuo
compito diventa quello di metterci più
di una pezza, tamponando le falle dove si aprono, confrontandoti con cervelli
che, a livello di sviluppo, non sono un dito oltre lo stadio embrionale e che,
proprio per questa ragione, occupano ruoli strategici da cosiddetti “decision
maker” dall’apparente importante incarico di #creare burocrazia laddove non serve e #complicare processi di una semplicità basilare.
Perché, diciamocelo pure, la più grande invenzione di
marketing è il marketing stesso, che ci ha fatto credere e fa credere ancora
che per vendere un prodotto serva la conoscenza strategica di elementi di
antropologia, economia internazionale, alta finanza e tecniche di negoziazione,
il tutto condito da un glossario di termini inglesi (possibilmente acronimi) di
cui i più ignorano completamente il significato (io stessa dopo 25 anni ancora
non sono certa di cosa sia davvero un grp)
ed avvalorato da altisonanti titoli accademici presi a suon di migliaia di euro
per ogni anno di iscrizione: conosco giovani colleghi sui quali i genitori hanno
investito cifre che definirei “considerevoli” per farne dei novelli marketing manager, che probabilmente sarebbero
bastate a sfamare i bambini del Burkina Faso fino alla fine del nuovo secolo.
Il che, a mio dire, si sarebbe rivelato un investimento più intelligente ed
oculato, visti i risultati scarsi e la totale incapacità dell’uso puntuale del
congiuntivo da parte di queste creaturine stereotipate.
Stamattina, nella penombra della mia camera, sorridevo
immaginando Romano - 120 Kg d’uomo dal passo lento, che quando non panifica
gira per il paese in cerca di immagini da fermare con la sua Leica appesa al
collo – convocare la sorella ed il congolese che lo aiutano al forno per una riunione
strategica sul business plan del prossimo trimestre e discutere – dati oggettivi
e ricerche di mercato alla mano – le azioni da intraprendere per favorire una
rotazione più rapida delle pagnotte multicereali rispetto al pane comune, i
canali sui quali attivarle, il periodo interessato e l’incidenza del costo
relativo sul marginal profit del totale product mix…
Magari sabato, quando torno a prendere la mia scorta di
michette, provo a chiedergli se ha voglia di condividere quanto ha stimato di ROI (significa Return on Investment, non fate finta di saperlo).
mercoledì 21 maggio 2014
Il potere occulto della Nutella
Ci sono molte cose che possono farti cadere in tentazione e
cancellare in meno di un nanosecondo mesi di sofferenze imposte da una dieta
che nemmeno Pannella riuscirebbe a sostenere: mezzo chilo di sushi trangugiato a
pranzo pensando che non abbia calorie, il banco del bistrot dove la
collega (bastarda) ti ha trascinato il venerdì pomeriggio per l'happy hour, gli spaghetti alla
chitarra della suocera la domenica dopo che hai dormito fino a mezzogiorno…Una
però è davvero diabolica e a mio parere andrebbe classificata come sostanza
stupefacente, al pari della cannabis o dei funghi peyote. Sono arrivata a questa
conclusione non tanto dopo anni di consumo (moderato, genere “smetto quando
voglio”), ma dopo aver tentato più volte ed inutilmente di fabbricarla in casa. Adesso mi spiego.
Anche quest’anno a Pasqua è arrivato in dono dalla grande
concessionaria un mega-uovo di cioccolata, un evento sempre festeggiato con
grande entusiasmo dall’intera famiglia perché rassicura che potremo anche
morire di fame, ma lo faremo avendo tutte le endorfine cariche fino all’ultimo
giorno.
Ora, per quanto ti possa piacere il cioccolato, mangiarne 5
kg prima che inacidisca non è un’impresa semplice per nessuno, perciò ogni anno, nei mesi immediatamente seguenti all'arrivo dell'uovo, la cucina è tutta un profumo che si sprigiona
da forno e fornelli, grazie alla produzione in serie di torte al cioccolato di
diversa esecuzione, mousse e budini, fino anche solo al cioccolato sciolto per
accompagnare la fonduta di frutta. Quest’anno, per cambiare, mi è venuta la malsana idea di
proporre ad Amy 2.0 (la bambina più onnivora di tutto l'universo criato, come direbbe il grande Camilleri) “proviamo a fare la
Nutella?” Domanda idiota, perché Amy 2.0 è una specie di squalo che divora ogni
genere commestibile, con pochissime esclusioni, e nemmeno il tempo di aspettare
la risposta aveva già fra le mani la scatola contenente i resti dell’uovo, dopo
che questi era stato preso a martellate per cavarne la sorpresa. Il passo
successivo è stato documentarsi fra i blog di cucina: ho trovato un miliardo di
ricette e fra queste ho selezionato quelle di più semplice esecuzione, poi come
sempre le ho mischiate fra loro tirandone fuori una versione “jo-style” e mi
sono messa all’opera. Tempo di preparazione relativamente breve, il prodotto
finale però era una buonissima crema al cioccolato (molto cioccolato, forse
troppo), che però non aveva nulla a che vedere con l’originale.
Ovviamente nell’arco di 3 giorni non ne era rimasto nemmeno un
grammo, manco fossero passate le cavallette, e siccome Amy 2.0 ci ha preso
gusto ("è MOOLTO più buona questa!”), nelle ultime 3 settimane l’ho rifatta
almeno 5 volte, variando ogni volta le proporzioni degli ingredienti. Una volta
meno cioccolato, una volta più nocciole, più latte, un pò meno olio, con lo zucchero
semolato, no meglio quello vanigliato…ho perfino cambiato strumento, passando dal mixer grande,
attraverso il frullatore, fino al mixer fine…
Conclusione: come narco-chef non valgo niente,
non c’è verso di arrivare a quel sapore e quella consistenza che ti fa sbavare
come un bobtail cui passano il barattolo sotto il naso. Perchè la Nutella ha un che di mistico, capace di farti passare dal paradiso all'inferno in quel breve lasso di tempo che passa fra lo stato di estasi olfattivo-gustativo più totale e il momento in cui ti accorgi di averne mangiato 10 cucchiai da minestra e il bruciore alla lingua si fa strada inesorabile.
Da qui una serie di considerazioni:
1 che cavolo c'è in quel barattolo oltre agli ingredienti dichiarati sull'etichetta?
2 come mai a nessuno è mai venuto in mente di chiedere la IGP?
3 come mai non è ancora stata dichiarata illegale (storicamente tutto quello che provoca piacere lo è)?
Dopodichè sono altrettanto consapevole che queste domande resteranno
senza risposta e che il segreto della
Nutella rimarrà inviolato in eterno come il terzo mistero di Fatima.
martedì 13 maggio 2014
La rehab strategy della mucca Pina
Forse le logiche della società moderna, dove ritmi di vita, usi e costumi portano i livelli di stress a dimensioni pericolosamente sovrumane, non sono appannaggio esclusivo del genere umano.
Ieri sera osservavo la mucca Pina (non è che si chiami esattamente così, ma ho sentito l'esigenza di battezzarla con un nome proprio per quello che adesso spiego), nuovamente ricaduta nella depressione post-partum. No, non è una battuta, è proprio così.
Pina è una delle mucche dell'azienda agricola dietro casa dove andiamo a prendere latte alla spina (Amy 2.0 vuole solo questo e si accorge immediatamente quando, colta da pigrizia, cerco di rifilarle il latte comprato al supermercato, seppur fresco e di alta qualità) e quando partorisce un vitello si prepara per lei un percorso di profondo turbamento, che inizia quando - per ragioni d'allevamento - viene separata dal suo cucciolo.
La Pina (da non confondersi con la nota dj) va in crisi, entra insomma in uno stato di depressione e smette di mangiare e di produrre latte. Ecco che quindi - devo dire con un'atteggiamento affettuoso - viene lasciata libera di uscire dalla stalla e di pascolare all'esterno, in un area verde, dove può dividere il tempo e lo spazio con una famiglia di asini, guardare le stelle (quando ci sono) e rilassarsi sul morbido prato.
Pina è una delle mucche dell'azienda agricola dietro casa dove andiamo a prendere latte alla spina (Amy 2.0 vuole solo questo e si accorge immediatamente quando, colta da pigrizia, cerco di rifilarle il latte comprato al supermercato, seppur fresco e di alta qualità) e quando partorisce un vitello si prepara per lei un percorso di profondo turbamento, che inizia quando - per ragioni d'allevamento - viene separata dal suo cucciolo.
La Pina (da non confondersi con la nota dj) va in crisi, entra insomma in uno stato di depressione e smette di mangiare e di produrre latte. Ecco che quindi - devo dire con un'atteggiamento affettuoso - viene lasciata libera di uscire dalla stalla e di pascolare all'esterno, in un area verde, dove può dividere il tempo e lo spazio con una famiglia di asini, guardare le stelle (quando ci sono) e rilassarsi sul morbido prato.
Io non lo so cosa passi per la testa della mucca Pina, forse è solo vittima di un banale crollo ormonale e la spiegazione di tutto sta semplicemente in una causa biologica.
A me però piace immaginare che la Pina, come tutte le donne che devono mettere insieme lavoro e famiglia, ogni tanto raggiunge il limite massimo, oltre il quale c'è il cosiddetto burn-out. Perciò si prende una bella pausa, facendosi passare per sciroccata e guadagnando in un solo colpo un momento tutto per sè, lontano dalle incombenze domestiche e professionali costituite da toro, vitelli e mungitrici.
Alzi la mano chi di noi - donne/mamme/lavoratrici - ogni tanto non ha desiderato fortemente poter premere il pulsante HOLD ed entrare in una dimensione di piacevole solitudine, dove infilarsi in una vasca da bagno con gli occhi chiusi, ascoltando un benefico silenzio, magari pensando che domani non andremo all'ennesimo inconcludente business meeting.
Cara la mia Pina, hai tutta la mia stima e piena approvazione.
A me però piace immaginare che la Pina, come tutte le donne che devono mettere insieme lavoro e famiglia, ogni tanto raggiunge il limite massimo, oltre il quale c'è il cosiddetto burn-out. Perciò si prende una bella pausa, facendosi passare per sciroccata e guadagnando in un solo colpo un momento tutto per sè, lontano dalle incombenze domestiche e professionali costituite da toro, vitelli e mungitrici.
Alzi la mano chi di noi - donne/mamme/lavoratrici - ogni tanto non ha desiderato fortemente poter premere il pulsante HOLD ed entrare in una dimensione di piacevole solitudine, dove infilarsi in una vasca da bagno con gli occhi chiusi, ascoltando un benefico silenzio, magari pensando che domani non andremo all'ennesimo inconcludente business meeting.
Cara la mia Pina, hai tutta la mia stima e piena approvazione.
venerdì 9 maggio 2014
Bambini che fanno piani quinquennali
"Mamma quanti tipi di liceo ci sono?"
Amy 2.0 esordisce così, appena seduta a tavola per la cena, neanche il tempo di dire buon appetito.
"Il liceo classico, lo scientifico, il linguistico..."
" e basta?"
" c'è anche quello artistico, il sociopedagogico..."
" e poi?"
" e poi...non mi ricordo (veramente non lo so, non sono stata dietro agli ultimi cambiamenti)..."
Meg 2.0 sbuffa, poi dall'alto della sua esperienza di ex-liceale aggiunge:
"se la domanda è quanti tipi di scuole superiori ci sono, poi ci sono gli istituti tecnici"
"e cioè?" Amy 2.0 ha l'aria scocciata di chi non riesce a sostenere una conversazione soddisfacente e sta incominciando a pensare che nessuno di noi sia all'altezza della situazione
"per esempio l'alberghiero, il turistico..."
"non si chiama più così, mamma" adesso ci si mette pure Meg 2.0 a darmi dell'ignorante. Conto fino a 10 mentalmente.
"Oggi a scuola io e miei amici parlavamo di quello che faremo. Lorenzo ha detto che c'è un liceo dove puoi studiare gli strumenti musicali, sì insomma...diventi un musicista"
"il conservatorio?"
"ecco, quello lì! Io voglio fare il conservatorio"
"Ok, va bene"
"Però vorrei fare anche la cantante e l'attrice. Me lo fanno fare lì?
"No, ci sono altre scuole dove si impara a recitare..."
"ok, quali sono?"
"dobbiamo proprio parlarne a cena? Considerando che non hai ancora finito le elementari, non mi sembra ci sia così tanta fretta"
"si tratta del mio futuro" Amy 2.0 mi guarda dritta negli occhi con un'aria solenne, poi prende la forchetta e inizia a mangiare le sue penne al ragù.
"Capisco, ma avrai tutto il tempo per farti un'idea e decidere"
"Eh già, mi dici come faccio se qui nessuno sa tutte le scuole che si possono fare? Se mi iscrivo a una di quelle che conoscete voi e poi scopro che ce ne sono altre che mi piacciono di più?"
Bambina previdente, non fa una piega.
Amy 2.0 esordisce così, appena seduta a tavola per la cena, neanche il tempo di dire buon appetito.
"Il liceo classico, lo scientifico, il linguistico..."
" e basta?"
" c'è anche quello artistico, il sociopedagogico..."
" e poi?"
" e poi...non mi ricordo (veramente non lo so, non sono stata dietro agli ultimi cambiamenti)..."
Meg 2.0 sbuffa, poi dall'alto della sua esperienza di ex-liceale aggiunge:
"se la domanda è quanti tipi di scuole superiori ci sono, poi ci sono gli istituti tecnici"
"e cioè?" Amy 2.0 ha l'aria scocciata di chi non riesce a sostenere una conversazione soddisfacente e sta incominciando a pensare che nessuno di noi sia all'altezza della situazione
"per esempio l'alberghiero, il turistico..."
"non si chiama più così, mamma" adesso ci si mette pure Meg 2.0 a darmi dell'ignorante. Conto fino a 10 mentalmente.
"Oggi a scuola io e miei amici parlavamo di quello che faremo. Lorenzo ha detto che c'è un liceo dove puoi studiare gli strumenti musicali, sì insomma...diventi un musicista"
"il conservatorio?"
"ecco, quello lì! Io voglio fare il conservatorio"
"Ok, va bene"
"Però vorrei fare anche la cantante e l'attrice. Me lo fanno fare lì?
"No, ci sono altre scuole dove si impara a recitare..."
"ok, quali sono?"
"dobbiamo proprio parlarne a cena? Considerando che non hai ancora finito le elementari, non mi sembra ci sia così tanta fretta"
"si tratta del mio futuro" Amy 2.0 mi guarda dritta negli occhi con un'aria solenne, poi prende la forchetta e inizia a mangiare le sue penne al ragù.
"Capisco, ma avrai tutto il tempo per farti un'idea e decidere"
"Eh già, mi dici come faccio se qui nessuno sa tutte le scuole che si possono fare? Se mi iscrivo a una di quelle che conoscete voi e poi scopro che ce ne sono altre che mi piacciono di più?"
Bambina previdente, non fa una piega.
mercoledì 7 maggio 2014
Non sono Julia Roberts
Dopo 3 giorni di atroci dubbi e ripensamenti (lo faccio-non lo faccio, sì però no, ma sì mi butto, ma poi tutto il web mi vede...) rompo ogni indugio: il videocontributo per lo spot di lancio di Networkmamas (la mia nuova avventura) s'ha da fare.
Fa niente se nel frattempo sono le nove di sera, la luce naturale (suggerita come ideale) ha lasciato posto al buio e l'angolo studio che ho deciso sarà lo sfondo del mio siparietto si trova nel bel mezzo del salotto, animato da tutta la famiglia (gatto compreso) che schiamazza intorno alla TV, quindi dovrò aspettare che Amy 2.0 vada a dormire (N.B. su Sky c'è "50 volte il primo bacio" ed lei ha deciso che sta alzata per guardarlo fino alla fine) e la dolce metà stramazzi nel coma apparente come ogni sera.
Nessun problema, userò questo lasso di tempo per fare le prove, con la diligenza di quando avevo 5 anni ed ero la stella delle recite dell'asilo (la massima gloria raggiunta con la sostituzione della protagonista della recita per la festa della mamma causa morbillo, a soli 2 giorni dal debutto e senza saper leggere il copione). Quindi mi sono scritta le mie battute su un foglio (poi lo avrei usato come "gobbo"), prendendo i tempi, tagliando e modificando dove necessario per stare nella durata indicata. Poi sono andata in bagno a fare una prova davanti allo specchio per vedere l'effetto "a crudo" e... PANICO!
Chi è quella cariatide con l'occhio vitreo? La bocca sembra abbia una paresi e la testa si muove a scatti, come quella dei cagnolini di peluche sul retro delle auto!!!
(P.S.: @ Networkmamas: ma che idee vi vengono? Qui si offre consulenza, mica un comic show...)
Me ne sono tornata in salotto, meditando di non farne più nulla e mi sono messa a guardare il film con Amy 2.0, fino a quando è finito e lei se ne è andata a dormire. Poi però lo storyboard mandato dalla crew di Networkmamas ha incrociato il mio ego di quando avevo 5 anni e mi sono autoconvinta che "se hanno dato l'oscar a Julia Roberts, forse posso farcela anche io", quindi sono partita, dando istruzioni a destra e manca nemmeno fossi Sofia Coppola: tu marito alle riprese, tu gatto sul balcone per non dar fastidio. Ciak si gira!
Morena prima: sguardo vuoto in camera (non mi ricordo cosa devo dire)
Morena seconda: si vede lontano un miglio che guardo il testo che ho scritto
Morena terza: riesco a dire tutto (yeah!), ma 'sta ca..o di testa che si muove sempre...
Morena quarta: mi incarto alla terza parola
Morena quinta: perfetta! (peccato la camera fosse in stand by...)
Morena sesta: sento il peso della fatica, sono tutta storta verso sinistra...
Morena settima: sono espressiva come un teletubby, che pietà
Morena ottava: eh basta, va bene la settima (anche perchè è mezzanotte passata)
Ora, giuro solennemente che non criticherò mai più i ragazzini e la loro fobia di far video per raccontare qualsiasi cosa sul web. L'avessi fatto anche io, a quest'ora Julia Roberts mi porterebbe l'accappatoio in camerino.
giovedì 17 aprile 2014
AAA, professionista multitasking offresi, astenersi holding
Devo essere stata profetica qualche mese fa, quando mi è venuta voglia di fare l'elenco dei mestieri utili con cui reinventarsi (o riciclarsi), in vista di un evento soprannaturale.
Ed eccomi accontentata: la scorsa settimana l'evento è accaduto, anche se aveva poco di soprannaturale (o magari sì e io non l'ho ancora capito) e fra breve avrò del tempo a disposizione per pensare a cosa fare nella seconda parte della mia vita lavorativa (considerando che fra non molto dovremo lavorare fino a 80 anni, sono circa a metà).
Al momento le idee sono tante e tutte diligentemente confuse, vanno nelle direzioni più spaiate e, potendo, vorrebbero trovare forma anche tutte quante insieme, perché sono una brava e moderna Jo 2.0, direttamente allenata dalla dea Kali.
Per adesso le lascio sfogare, stile "lasciate che le idee vengano a me".
Ma sì, via, allo stato brado, pascolate in libertà per qualche mese brucando felici l'erba fresca della creatività senza freni inibitori, poi vedremo quale di voi sarà stata quella più combattiva e tenace da tenermi testa con coerenza e razionale attecchimento.
Certo è che l'idea di rientrare nuovamente nelle dinamiche di una multinazionale è l'ultima che mi attira, dopo il full immersion di inutilità cui mi sono sottoposta negli ultimi anni, cose che - lo ammetto - sfuggono alla logica della mia mente semplice e priva di adeguati titoli accademici. Dopotutto mi considero sempre ed ancora una mestierante del pensiero creativo, che si limita a trovare il modo di raccontare una storia con le parole più adatte per l'interlocutore che le sta di fronte e faccio fatica a capire come si possa avere "una migliore implementazione della strategia di comunicazione" eliminando chi la dovrebbe implementare.
E quindi che si fa?
Intanto piantarla con questa lagna seriosa che nemmeno Maria De Filippi mi reggerebbe e pensare, come farebbe Jo, che anche i capelli tagliati prima o poi ricresceranno.
Ed eccomi accontentata: la scorsa settimana l'evento è accaduto, anche se aveva poco di soprannaturale (o magari sì e io non l'ho ancora capito) e fra breve avrò del tempo a disposizione per pensare a cosa fare nella seconda parte della mia vita lavorativa (considerando che fra non molto dovremo lavorare fino a 80 anni, sono circa a metà).
Al momento le idee sono tante e tutte diligentemente confuse, vanno nelle direzioni più spaiate e, potendo, vorrebbero trovare forma anche tutte quante insieme, perché sono una brava e moderna Jo 2.0, direttamente allenata dalla dea Kali.
Per adesso le lascio sfogare, stile "lasciate che le idee vengano a me".
Ma sì, via, allo stato brado, pascolate in libertà per qualche mese brucando felici l'erba fresca della creatività senza freni inibitori, poi vedremo quale di voi sarà stata quella più combattiva e tenace da tenermi testa con coerenza e razionale attecchimento.
Certo è che l'idea di rientrare nuovamente nelle dinamiche di una multinazionale è l'ultima che mi attira, dopo il full immersion di inutilità cui mi sono sottoposta negli ultimi anni, cose che - lo ammetto - sfuggono alla logica della mia mente semplice e priva di adeguati titoli accademici. Dopotutto mi considero sempre ed ancora una mestierante del pensiero creativo, che si limita a trovare il modo di raccontare una storia con le parole più adatte per l'interlocutore che le sta di fronte e faccio fatica a capire come si possa avere "una migliore implementazione della strategia di comunicazione" eliminando chi la dovrebbe implementare.
E quindi che si fa?
Intanto piantarla con questa lagna seriosa che nemmeno Maria De Filippi mi reggerebbe e pensare, come farebbe Jo, che anche i capelli tagliati prima o poi ricresceranno.
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