giovedì 23 aprile 2015

Più programmatic per tutti

Comunque la metta, il fatto è che mi sento inadeguata. Ci posso anche scrivere sopra qualche post al vetriolo, così tanto per levarmi un sassolino dalla scarpa, ma dentro mi rimane quella sensazione di non saperne abbastanza, di non essere preparata a dovere, sì insomma, di non essere all'altezza della situazione.
Questa storia che il marketing ormai è solo digital e che se non ne conosci i meccanismi sei fuori gioco mi sta perseguitando e io - che soffro un pò della sindrome da prima della classe - non voglio rimanere indietro, perciò da brava secchiona ho messo in atto un piano d'azione per rimediare a questa lacuna: per prima cosa iscrizione al corso Marketing in a Digital World su Coursera.org (lo stesso dove ho seguito l'SDA Bocconi Managing Fashion & Luxury companies), a costo zero e fruibile a qualsiasi ora (basta rispettare il timeframe del corso), poi partecipazione a qualche seminario su temi particolarmente caldi. 
Ecco, parliamo per esempio di Programmatic Advertising, un argomento che tutti i markettari giureranno di conoscere se viene loro chiesto, mentre smanetteranno contemporaneamente sotto al banco con il loro smartphone, a caccia della definizione Wikipedia da recitare a memoria. Perciò non mi è sembrato vero quando ho scoperto che a Milano si sarebbe tenuto il #ProgrammaticDay, mi ci sono iscritta subito e ieri, alle 8:45, ero là in fila insieme agli altri sfigati che, come me, cercavano inutilmente di arrivare al banco accrediti (non entro nel dettaglio, dico solo che raramente ho visto il desk registrazione in una posizione così assurda - a ridosso delle scale - e receptionist tanto graziose quanto bradipo-style). Comunque, grazie ad una serie di fortuiti accadimenti che di solito non mi capitano MAI (col senno di poi, avrei dovuto sfruttare il buon momento per giocare un terno secco sulla ruota di Milano), mentre il resto del pubblico fa la fila io riesco non so come a registrarmi (per modo di dire, perchè il mio nome non lo trovano e mi fanno un badge a penna) e raggiungere la sala ancora semivuota, così da scegliere il posto più comodo (inizio fila corridoio centrale, l'ideale per battere in ritirata nel caso serva, senza scomodare chi è seduto a fianco).
La debug agli accrediti è davvero colossale, l'evento parte con tre quarti d'ora di ritardo e io comincio a chiedermi se l'averlo chiamato "programmatic" non abbia portato sfiga, perchè qui la programmazione è già saltata.
Il programma in realtà poi filerà via più o meno liscio, intervallato da una pausa caffè e da un light lunch niente male (ho trangugiato 3 minipanini con diversa imbottitura, un panzerottino e i due minidessert), alcuni interventi più interessanti di altri, qualche relatore un pò più prolisso e qualcuno più brillante (a dirla tutta, su almeno un paio ho avuto episodi di abbiocco totale, speriamo di non aver russato), ma nella media una giornata più che positiva che mi ha insegnato che:

- la definizione più semplice (e concreta) del programmatic è "il modo di comprare tramite internet spazi pubblicitari su internet"
In pratica fino ad oggi andavamo pontificando della tracciabilità, misurabilità ed aggiustabilità in tempo reale del mezzo - prodotto della programmazione - però lo pianificavamo, vendevamo e compravamo allo stesso modo delle reclame di Carmencita e il caffè Paulista nel Carosello.

- il mercato si sta spostando dalle Open Auction (o RTB, Real Time Bidding) ai Private Deal, privilegiando la qualità anche se ad un prezzo più alto, rispetto a sparare nel mucchio a basso costo. 
Un po' come diceva mia mamma, "meglio un cappotto solo, ma buono".

- il programmatic fa bene all'azienda che spende meglio i suoi soldi, ma anche al consumatore: una donna all'ottavo mese di gravidanza sarà più felice se non deve litigare per chiudere un overlay che reclamizza la nuova collezione Victoria Secret.

- anche il planner media è più contento se compra in programmatic, perchè ci mette molto meno tempo a comporre un piano che abbia senso, mentre prima ci voleva così tanto lavoro che finiva per rifilare sempre più o meno lo stesso piano al cliente, facendo solo qualche aggiustamento.
Ecco cos'era quel deja vu che mi prendeva quando visionavo un nuovo piano...

- il programmatic si basa sullo studio e l'analisi dei dati per essere efficiente; se i dati mancano o sono insufficienti è a rischio il punto che precede. 
Non voglio sembrare sempliciona, ma mi viene da dire "e grazie al c....!

- "il comportamento del consumer viene tracciato in rete attraverso i cookie; se però accede da mobile è un problema, perchè questo device i cookie non li prevede". 
E' un problema sì, visto che in Italia si vendono molti più smartphone che pc.

- per occuparsi di programmatic serve la barba.
Questa è una mia deduzione, perchè ce l'aveva praticamente la totalità degli uomini in sala. 
Se sei donna magari puoi provare a non depilarti, a meno che non ti piaccia l'effetto Conchita Wurst in total body.





giovedì 16 aprile 2015

Vorrei 2 etti di digital

Alla fine ho ceduto, l'ho fatto anche io. Ho inserito nel profilo LinkedIn, sparse quà e là nel Riassunto e nelle Competenze, con l'apparente logicità che accompagna la descrizione del proprio ruolo, una manciata di quella parolina dal significato magico ed ancestrale, una sorta di "apriti sesamo" del mondo lavorativo senza la quale il curriculum di un professionista del marketing vale meno di quello di un idraulico che si candida per una posizione di chirurgo plastico.
DIGITAL, è come gli spinaci per Bracciodiferro, la spada laser per Luke Skywalker, il botulino per Nicole Kidman: se non ce l'hai, non vai da nessuna parte.
Per carità, non discuto. Fare marketing oggi è imprescindibile dall'uso della rete e dei suoi canali, ma pensare di cambiare ritmo ad una situazione di branding un pò stitica partendo dal contenitore, ma senza avere idea del contenuto, mi pare un pò azzardato e dal risultato parecchio incerto, anche se a dare le direttive fosse Steve Jobs dall'aldilà.
Ecco, io mi sforzo di seguire il manuale dell'outplacement di successo fornitomi dal mio gentile personal counselor, su come affrontare con la giusta assertività un colloquio di lavoro per non mandarlo subito in malora, anche solo con il movimento incontrollabile del sopracciglio che si alza di tre quarti e al posto tuo recita un "ma sei veramente un somaro!" al possibile nuovo datore di lavoro, ma è difficile quando il tenore delle conversazioni è più o meno questo:

- la figura che stiamo cercando si occuperà di innovare digitalmente il marketing aziendale
- molto interessante! Quali sono gli obiettivi che volete raggiungere?
- fare marketing digital
- sì certo, ma pensate che il digitale possa aiutarvi in quale direzione?
- è tutto da costruire, dobbiamo essere innovativi...
- forse non ho capito bene, mi scusi. Immagino vorrete raggiungere nuovi prospects e guadagnare visibilità sulla concorrenza...
- siamo leader di settore, non abbiamo concorrenti
- un riposizionamento del brand?
- mah, forse...ma lei il digital lo conosce?
- conosco le potenzialità del mezzo e saprei come sfruttarle, in base agli obiettivi dell'azienda
- sì, ma quanto lo usa?
- diciamo circa 2 etti ogni chilo di attività. Può andare bene?

L'ultima battuta non è vera, non ho risposto così, però deve averlo fatto il mio sopracciglio, perchè al posto mio hanno preso un planner proveniente da un'agenzia web.